Il post di Alessandro D’Avenia ci invita a riflettere su una scuola che è fatta di insegnanti in relazione cognitiva ed empatica con i loro studenti e viceversa di studenti in relazione cognitiva ed empatica con i loro docenti, non di robot che erogano pillole di informazioni a studenti straniati, come nel racconto immaginifico di Isaac Asimov. D’Avenia si chiede, in questi giorni in cui gli edifici scolastici sono tristemente vuoti a causa del Covid19: “E nel marzo 2020 la scuola esiste ancora?” E risponde: “Sì, ma a una condizione: se tutte «le» scuole sono chiuse, «la» scuola è rimasta aperta solo dove «scuola» è il nome che diamo alla relazione che sopravvive alla chiusura dell’edificio.” E’ la relazione infatti la base degli apprendimenti significativi, che non sono mai ripetitivi e statici perché sono mediati e costruiti attraverso l’interazione tra i membri del gruppo che apprende e, in quanto nati nel vivo contesto sociale della classe, non riguardano solo l’acquisizione di conoscenze e competenze culturali ma anche di conoscenze relazionali, sociali, metacognitive. E la relazione arricchisce anche le acquisizioni culturali, come si evidenzia da questo ulteriore passaggio di D’Avenia: “In una scuola relazionale e non prestazionale infatti non si riesce mai a fare la stessa lezione (altrimenti che mi sostituisca il maestro meccanico): insegno da 20 anni e non posso raccontare mai lo stesso Dante, perché cambio io, così come le anime da raggiungere. Ed è grazie a questa «materia viva» che non solo non mi annoio, ma mi viene donato ogni anno un nuovo Dante, interpellato in modo diverso in ogni classe.”
In questo momento in cui le scuole di molti paesi nel mondo stanno sperimentando in forma generalizzata la didattica on line, sotto la spinta dell’emergenza che si sta verificando, l’espressione usata da molti, “didattica a distanza” ci fa riflettere, in una sorta di rovesciamento, sulla necessità ancora più forte in giorni difficili come questi, di una “didattica della vicinanza”. Questa però può essere realizzata anche attraverso il freddo schermo di un computer se e quanto nel contesto reale della classe vi era già relazione e non solo acquisizione di conoscenze. Ma, assumendo uno sguardo positivo, si può in qualche modo “approfittare” della difficoltà del momento e prendere consapevolezza che essa può attivare, insieme alle comprensibili preoccupazioni, anche nuove vibrazioni emotive e relazionali, atteggiamenti di solidarietà e cooperazione a distanza (anche per arginare il cosiddetto “digital divide”, cioé della mancanza degli strumenti – computer, collegamento internet – che rende irraggiungibili alcuni allievi, superato in alcune esperienze attraverso un peer tutoring tra studenti con l’uso di strumenti compensativi come il cellulare per tenere connessi i compagni oppure con strategie creative di passaggio di messaggi cartacei attraverso le cassette delle lettere). Vibrazioni e cooperazioni che lasceranno una traccia in tutti noi quando , si spera, torneremo alla “normalità”, per dare maggiore valore e spazio a scuola a quella relazione umana piena e gratificante che dà qualità all’apprendimento, della quale l’emergenza in atto rischia di privarci ma, se lo vogliamo, non riuscirà a privarci.